09/agosto/2006: da Esich
Carissimi, tra le tante cose che si leggono, fortunatamente qualcuna
fa pensare...
Vi trasmetto questo articolo che in qualche modo pone il tema sulla
imputabilità della psicopatologia. Si tratta di una auto-indagine del
premio Nobel John Nasch, riguardo la sua schizofrenia.
Buona estate.
"Un amico psicologo mi ha confermato che l'attitudine verso i malati
di ulcera è cambiato da quando è stato scoperto (da due australiani)
il batterio che causa l'ulcera stessa. Le vittime di questa patologia
ora tendono ad essere viste come persone sofferenti di una condizione
che può essere trattata adeguatamente con gli antibiotici, non come
persone con problemi di comportamento, stili di vita o stati
psicologici «sbagliati». È però vero, per quanto riguarda la salute
mentale, che sembra più desiderabile, per coloro alle prese con questo
tipo di problema, che il loro male derivi da un qualche errore di
pensiero piuttosto che da un «cervello guasto», essenzialmente al di
là di ogni possibilità di aggiustamento. Se consideriamo il cervello
umano come il chip Intel o Amd di un computer, possiamo acquisire
un'altra prospettiva riguardo alla malattia mentale, che corrisponde
ai difetti di funzionamento del processore del computer.
Un calcolatore che non lavora nel modo desiderato è infatti analogo a
una mente che non risponde nel modo che vorrebbero la famiglia, la
società o perfino il Cielo. Quando
un computer funziona in modo difettoso sappiamo che la causa può
essere nell'hardware o nel software. Potrebbero esserci errori
nell'installazione di quest'ultimo, oppure virus e worms che ne
impediscono le attività. Continuando l'analogia, è possibile che nel
caso di una problema mentale si debba far ricorso ad uno
psicoterapueta se il problema riguarda il software, ma ad un dottore
di tipo allopatico più che omeopatico se il problema riguarda
l'hardware. Allora, cosa è meglio per coloro che sono classificati
come malati di mente, essere trattati come computer con difetti di
hardware o di software? Ma soprattutto: una persona affetta da
schizofrenia può fare qualcosa, in modo volontario, per la propria
salute, oppure no?
Etimologicamente la parola insanity [pazzia], usata volentieri da
giudici e avvocati nei tribunali, deriva da l concetto di salute. «Mens
sana in corpore sano» recita il proverbio latino che si riferisce alla
radice di insanity. Ma ciò che è sano dal punto di vista dei tribunali
non corrisponde alla prospettiva di coloro che lavorano nel campo
delle malattie mentali. Una persona può soffrire seriamente di
depressione e tuttavia essere giudicata legalmente «sana» fin tanto
che non compaiono rischi di un comportamento suicida. Così, non appena
si manifestano sintomi di psicosi maniacodepressiva viene classificata
come pazza. Di fatto la pazzia è ancora un concetto legale più che
medico, cosa che non giudico negativa. Le persone che in un qualsiasi
momento della loro vita vengono giudicate mentalmente malate devono
essere automaticamente classificate come schizofreniche in modo
permanente, casi di disordine bipolare irreversibile? Un tale
approccio da parte degli operatori del settore può semplificare i
processi di cura delle persone che tendono a scivolare nella malattia
mentale. D'altra parte, se coloro che vivono episodi di crisi
venissero trattati ogni volta come casi nuovi, nel momento in cui si
allontanano da una condizione di normalità possono essere incoraggiati
a recuperare il loro stato iniziale. Non è detto insomma che il tipo
di «de-stigmatizzazione» che invita il pubblico ad accettare
l'esistenza di disabili permanenti - come il modello degli atleti
delle Paraolimpiadi - sia sempre positivo per le persone affette da
una malattia psichica, perché potrebbe depotenziare lo sforzo per
riportare costoro alla normalità e, viceversa, rafforzare un'idea di
terapia come semplice «mantenimento», un'accettazione dei malati come
bisognosi di cure continue.
Personalmente, penso si possa sostenere che coloro che si allontanano
dal modo di pensare delle persone «sane» lo fanno spesso, forse a
livello inconscio, volontariamente. La struttura di pensiero di uno
schizofrenico può offrire una via di fuga: se le circostanze diventano
tali da determinare per lui un peso insostenibile a livello
esistenziale, in certi casi costui può trovare una fuga lasciando che
pensieri irrazionali tipici della schizofrenia governino la sua mente.
È un po' come il processo inverso rispetto al risvegliarsi da un
sogno, quando un pensiero vivace ma irrazionale viene rimpiazzato da
uno razionale ma meno immaginifico. Se lo stato di anormalità mentale
di un individuo, tale da poter essere descritto come un caso di
malattia, viene visto come la risultante di una scelta, allora c'è una
possibilità in più di ridurre o rimuovere l'anormalità stessa."
John Forbes Nash |