20/giugno/2007: da Riki M.

SECOND LIFE: UN’ALTRA VITA?

Sul Corriere della Sera del 7 giugno 2007 viene dato risalto, in una pagina interna, ad una notizia riguardante il videogioco Second life, che pare conti ben 7 milioni di giocatori di cui 125 mila italiani, poiché ne sarebbe emerso il lato oscuro: violenze, stupri, pedofilia, pedopornografia, droga, vandalismo. C’è da rammaricarsi come per un “bel sogno” infranto? Il “bel sogno” di un paradiso artificiale come dice l’articolista stesso: Le cronache fino a poco tempo fa raccontavano questo paradiso artificiale dove ognuno può diventare quello che non è nella vita reale.

        E invece ora che accade? Accade che questo “paradiso artificiale” assomiglia sempre più alla life ordinaria, quotidiana. Mi chiedo: ma davvero le cose andavano bene fino a poco fa e poi ci si son messi i soliti guastafeste a rovinare tutto? Ritengo piuttosto che non stesse accadendo niente di diverso né di nuovo rispetto a quanto accade nella “vita reale”: non c’è mai stato niente di nuovo e gli atti recenti di natura criminale ne sono soltanto una conferma. E’ forse possibile trovare in ciò un’analogia con quanto si dice talvolta di certe coppie: “Si amavano tanto, stavano tanto bene assieme, sembravano una bella coppia e guarda invece come è andata a finire…”. Ma davvero si amavano, stavano bene assieme, fino ad un momento prima andava tutto bene e poi è arrivato, inatteso, il patatrac? Un  fallimento (conseguenza) non è mai senza ragione (premessa): come evitare la conseguenza senza mutare premessa?

        Permettiamoci una piccola speculazione linguistica. L’espressione second life si offre ad una duplice interpretazione, nel caso che second sia inteso come altra, e quindi second life sarebbe un’altra vita (ossia il gioco ti dà l’opportunità di inventarti un’altra vita, una vita altra rispetto a quella ordinaria), sia inteso come seconda, proprio nel senso dell’enumerazione, della serie e della serialità. I prodigiosi progressi dell’informatica hanno reso possibile dare un’opportunità virtuale alle fantasie ben note che suonano suppergiù così: “Ah se potessi rinascere, allora…farei questo, non farei quest’altro”.

        La second life del videogioco si presenta come “second” perché si può fare virtualmente ciò che si fantastica soltanto di fare nella “first life”. Perché mai allora, trattandosi di occasione di realizzare virtualmente le proprie fantasie, la second dovrebbe essere diversa dalla first? Infatti non lo è. Solo perché si è cominciato dalle fantasie narcisistiche (quelle che ci appaiono più “perbene”), non si poteva certo credere seriamente di poter tener fuori quelle perverse  tanto  lungo.  Ma continuiamo ad essere abbastanza sciocchi per credere (pura credenza e superstiziosa, se non perversa perché rinnegatrice e ingannatrice) che poste le medesime premesse, le conseguenze possano essere diverse; che senza cambiare nulla delle idee e teorie che coltiviamo sia possibile che il domani sia diverso dall’oggi. Non è così: stesse premesse, stesse conseguenze; e la Second life diviene riproduzione della First life: da una mascherata all’altra.

        E sì che ci aveva già provato Pirandello a far vivere al personaggio di Pascal una second life, mostrandoci come, intuizione d’artista, fatta eccezione per l’entusiasmo della novità, con la sua modesta durata, niente era realmente cambiato nella sua vita. Pirandello ci aveva provato ad esplorare, attraverso Pascal, che cosa potesse succedere a “ricominciare da capo” come si usa dire: non succede niente di nuovo. Che poteva accadere del resto, se non scrivere di nuovo la stessa storia, anche se con costumi e  nomi diversi.

        Qualcosa di cui stupirsi allora? E perché mai? Perché ci possa essere una “second life”, una vita alternativa a quella che viviamo bisogna prima essere in grado di concepirla, pensarla, costituirla, porne un ordinamento che la renda possibile. Si può “diventare quello che non si è” grazie alla fantasia? Se proviamo a dare contenuto alla frase in questo modo: «si può guarire (almeno un po’) da malati che si è (diventare appunto quello che non si è: capaci di un pensiero sano, non patologico)?», mi sembra che possa apparire più chiaramente come il “dar corpo”, seppur virtuale, alle proprie fantasie nulla abbia a che fare con un’altra vita possibile. Bisogna avere un pensiero capace di pensarla una tale altra vita; I sogni ad occhi aperti non sono un tale pensiero, le fantasie non sono desideri, le fantasie si nutrono di teorie, ossia di pensiero patologico: quel che “passa il convento”.

        C’è già stato chi, come Dante, si è immaginato un paradiso e tutti possono vedere che razza di posto sia: in un paradiso frutto delle fantasie di un nevrotico, o peggio di un perverso, mi guarderei bene dal metter piede.

Un abbraccio